Se provassi a pronunciarlo senza leggerlo probabilmente non né sarei capace eppure per anni ne ho portato uno al collo. Faravahar. Sono dovuto venire fino a qui per capire cosa rappresenta quella specie di aquila d'oro che portavo al collo. Anche io, per parecchio tempo, l'ho scambiato per il rapace regale, fin quando non l'ho riposto in un cassetto e non ci ho pensato più.
Il ciondolo me lo regalò mia madre qualche tempo fa, dopo tanti anni, era finalmente riuscita a tornare in Iran anche se solo per una vacanza. Il mio ciondolo è modellato su una foglio d'oro. Quell'estate mamma è andata a visitare le rovine di Persepoli con tutti i parenti e me lo ha portato in regalo al suo ritorno a Roma.
E' il simbolo dell'antica civiltà persiana e molti iraniani lo portano al collo ancora oggi.
Io mi chiamo Rosbeh ma molti mi conoscono come Thomas. Sono nato a Roma da genitori iraniani ed è solo per un caso del destino che sono rimasto a vivere a lì. Sono cresciuto in Italia, la mia educazione è tricolore e mi sono sempre sentito italiano piuttosto che iraniano. L'appartenza all'Iran l'avevo rimossa, superata, messa in un cassetto insieme a quel ciondolo in pratica. Eppure il destino beffardamente me lo ha ricordato con una proposta di lavoro. E' stata una di quelle proposte che ti fanno un paio di volte nella vita, di quelle che difficilmente riesci a rifiutare e ne parli a casa e si decide tutti insieme. E non sto parlando di soldi. Cmq tra le condizioni c'era quella di venire a Tehran per almeno un annetto...
... Tornare a Tehran? e chi ci avrebbe mai pensato?
E allora eccomi qui, in un posto che è tutto tranne quello che mi immaginavo. E' passato un po di tempo ed ora sono qui, accompagnato da un decina di Italiani. Ed è qui che mi ritrovo a ripensare a quel ciondolo nel cassetto e a scoprire, dopo una rapida ricerca, che non è un'aquila.
E' un cerchio alato, simbolo della connessione col divino, come l'antico
ra egizio. Il cerchio è intorno ad un uomo, probabilmente Dario il grade o l'angelo custode di Zarhatustra (in realtà non si sa). L'uomo tende in avanti la mano destra e nella sinistra stringe un anello.
Sono dovuto tornare fin qui per accorgermi che quel ciondolo non era un'aquila? Ce l'ho sempre avuto davanti agli occhi ma non l'avevo mai guardato veramente. I miei occhi da occidentale vedevano un'aquila, come quelle degli aviatori americani o quella della Lazio. Né avevo mai aperto wikipedia per andare a vedere che cosa rappresentava. La verità è che non me né importato mai molto talmente era lontano da me.
Allo stesso modo ho pensato all'Iran fino ad oggi, l'ho sempre guardata e giudicata con gli occhi da occidentale. Con i pregiudizi e la presunzione di chi il mondo pensa di avercelo in tasca, di sapere tutto e lo affronta un po' annoiato, sempre a guardare dentro ad un cellulare, piuttosto che aprire gli occhi e andare a vedere di persona.
Quante altre cose ho dato per scontato oltre a quel ciondolo, il legame con questa terra che ho nei geni, la mia famiglia, la cultura.
Ecco perché questo blog l'ho voluto chiamare così. Ogni giorno ci accorgiamo che niente è scontato qui. Che la propaganda occidentale ci aveva raccontato tante fandonie su questo posto. Certo i problemi non mancano, come anche le situazioni buffe, assurde, paradossali, pericolose. Vi lascio immaginare il vice-presidente senza scarpe sopra un tappeto, lo stesso dove dovrà mangiare piuttosto che la gentilezza degli estranei che ti chiamano il taxi, ti offrono il tè, ti invitano a scaldarti al fuoco e tu gli avevi chiesto solo un'informazione.
Stiamo affrontando un viaggio nella terra del ciondolo di Faravahar insomma e questo è il diario di quel viaggio.